Il Convegno nazionale “I bisogni della città e l’impegno del Pio Albergo Trivulzio. 250 anni di assistenza e cura”, che si terrà il prossimo 23 febbraio al Teatro Martinitt si inserisce nella ricca serie di iniziative promosse dalla Direzione del Pio Albergo Trivulzio, congiuntamente al Comitato Amici del Trivulzio onlus, per celebrare l’importante ricorrenza dei 250 anni dalla morte del Principe Trivulzio, che - grazie alle sue ultime volontà - ha consentito di realizzare una dimora ove accogliere, fin dal 1771, “gli impotenti per età, per difetto corporale ed infermità”, come recitava il testamento divenendo nel tempo luogo che “alla vecchiaia milanese povera e onesta dona calmo e sereno il tramonto”.
Il Convegno nasce per Milano e per i suoi cittadini e consentirà di conoscere l’evoluzione storica del Pio Albergo Trivulzio sotto molteplici aspetti: in primo luogo, grazie anche all’attiva collaborazione della Società Italiana di Storia della Medicina, il prof. Giuseppe Armocida delineerà le caratteristiche della medicina e dei medici all’epoca del Principe Trivulzio, attraverso un inquadramento storico, medico e scientifico. Nella successiva relazione la dr.ssa Ilaria Gorini e la dr.ssa Barbara Pezzoni affronteranno i temi della medicina e dei medici all’interno dell’Istituto nell’arco della sua vita, per poi passare alla presentazione di alcune figure di rilievo che hanno contribuito alla storia del Pio Albergo Trivulzio. La dr.ssa Cristina Cenedella, direttrice del Museo Martinitt e Stelline, si soffermerà sull’esemplare figura di Maria Gaetana Agnesi, di cui ricorre proprio quest’anno il terzo centenario dalla nascita: matematica, filosofa e benefattrice, fu la prima direttrice dell’Istituto dal 1771 fino alla morte, avvenuta nel 1799.
Il Convegno non trascurerà poi gli aspetti e gli assetti organizzativi del Pio Albergo Trivulzio dal punto di vista sia dei regolamenti interni di funzionamento, attraverso un sistema puntuale di gestione del personale addetto ma anche degli ospiti, illustrati nella relazione del prof. Edoardo Manzoni e della dr.ssa Maura Lusignani, sia degli assetti architettonici, tanto nella vecchia sede quanto nell’attuale collocazione, anche qui studiati secondo logiche “pionieristiche” per l’epoca, come presentati dall’arch. Patrizia Brivio.
Il Convegno si concluderà poi, con una tavola rotonda, da me curata, dedicata a testimonianze legate agli ultimi cinquant’anni della vita del Pio Albergo Trivulzio, comunemente noto fra i milanesi come “Baggina”. Saranno presenti l’avv. Bassano Baroni e l’avv. Amilcare Resti - che sono stati segretario generale dell’Istituto - alcuni medici che hanno operato all’interno della struttura a partire dagli anni Settanta (dr. Elia Messa, dr. Carlo Sequi e dr.ssa Cinzia Negri Chinaglia), il dr. Claudio Cogliati, primo presidente dell’Istituto dopo il commissariamento a seguito di Tangentopoli (anche se nel male, il Trivulzio possiamo dire sia stato pioniere: ha contribuito a scoperchiare il malcostume di un sistema che ha travolto nel 1992 l’intero mondo politico italiano), nonché il dr. Ugo Garbarini, primario emerito dell’Istituto e presidente onorario dell’Ordine dei Medici di Milano. Sono convinto che le testimonianze saranno di sicuro interesse e, senza voler anticipare i contenuti del Convegno, sono certo che quanto emergerà dai lavori andrà a confermare un elemento fondamentale e caratterizzante l’Istituto: quello di aver avuto e di avere ancora un approccio pionieristico al tema della cura e dell’assistenza degli anziani.
Nel preparare la tavola rotonda ho avuto modo di consultare molteplici documenti riguardanti la vita dell’Istituto, in particolar modo quelli relativi agli anni successivi al 1950-1960: posso sicuramente affermare che nella buona e nella cattiva sorte, la Baggina è sempre stata precursore di accadimenti che hanno caratterizzato la vita dell’anziano e il sistema di welfare, usando un termine oggi comune. Il titolo del Convegno sintetizza in modo completo il fatto di come il Pio Albergo Trivulzio abbia saputo coniugare i bisogni della città con l’evolversi della sua vita e delle circostanze, garantendo assistenza e cura alle persone bisognose. L’approccio del Trivulzio è sempre stato orientato alla cura degli anziani in una visione attiva e sono convinto che ancora oggi, l’Istituto possa essere annoverato a pieno titolo fra le strutture di punta non solo milanesi, ma di tutto il sistema sanitario nazionale.
Non posso certo nascondere il fatto che, oltre a considerazioni di natura affettiva, molti sono gli elementi che mi uniscono al Pio Albergo Trivulzio, a partire dalla circostanza che il Trivulzio è sintesi di operosità e generosità, che porta Milano ad essere città che sa accogliere e tutelare, che sa fare bene e fare il Bene: la Milano col couer in man. Con questo spirito mi sono approcciato all’organizzazione del Convegno e della tavola rotonda in particolare, che si concentrerà sugli anni che hanno posto le basi forse per l’ultima grande trasformazione del Trivulzio: l’Istituto negli anni Sessanta, da primo gerontocomio-cronicario italiano che era, inizia a diventare primo centro di riabilitazione geriatrica, anticipando un processo di cambiamento, che coinvolgerà altre istituzioni similari e porterà a rivedere - a livello normativo italiano - il sistema di cura dell’anziano.
Siamo a fine anni Cinquanta del secolo scorso, i censimenti Istat iniziano ad evidenziare che l’Italia sta invecchiando. La durata media della vita umana aumenta, il sistema pensionistico garantisce redditi non più di mera sussistenza: i medici del Trivulzio, sapientemente, avvertono che grazie alle conquiste della medicina e della chirurgia è aumentata la possibilità di sopravvivenza anche se in condizioni di salute gravemente menomante, con la conseguenza che i ricoverati necessitano di assistenza e cure mediche continuative, attraverso interventi terapeutici e riabilitativi un tempo non possibili. Ciò porta alla necessità di lungodegenze, ma in quegli anni la normativa sanitaria italiana non prevede tale tipologia di assistito: c’è il malato acuto, c’è il malato cronico (attenzione il malato, non la malattia cronica), ma il lungodegente non è noto alla legge ospedaliera.
Questi medici sensibilizzano la Presidenza e la Direzione dell’Istituto, che in modo illuminato (presidente era l’avv. Giuseppe Sala, vero civil servant milanese, direttore il dott. Livio Beria, segretario generale l’avv. Bassano Baroni), condividono le considerazioni espresse dalla direzione sanitaria, guidata dal medico primario dott. Giuseppe Dones e danno il via alla trasformazione, che ha riguardato non solo i servizi offerti ma anche le strutture (dalle camerate per gli assistiti si passa gradualmente a camere a due/quattro letti, vengono potenziati gli spazi per le strutture mediche, vengono realizzati nuovi spazi per i degenti).
Per fare tutto ciò viene avviata un’indagine medico-sociale, condotta in prima persona dai medici Giuseppe Dones e Bruno Zanobio (mio padre) che copre oltre 4.000 assistiti del Trivulzio e che consente, nell’arco di due-tre anni, di monitorare e conoscere le caratteristiche fisiche, anamnestiche e patologiche dei ricoverati, oltre alle loro origini, al loro status sociale, alla loro composizione familiare, con un monitoraggio che continua nel tempo. Si procede a visitare gli Istituti similari di altri Paesi, per valutare come negli altri luoghi venisse gestita l’assistenza agli anziani.
Grazie all’archivio documentale di mio padre, che era appunto al fianco del dott. Dones in quegli anni, ho potuto esaminare la mole di lavoro compiuta e soprattutto i risultati conseguiti con tale attività, che sono stati oggetto di presentazione in convegni e di pubblicazione in riviste scientifiche. Le analisi svolte si sono trasformate tempestivamente in azioni mirate alla grande mutazione dell’Istituto, ponendo - credo lo si possa dire - le fondamenta a quanto ancora oggi il Pio Albergo Trivulzio è e sa offrire, con gli ulteriori miglioramenti apportati negli anni successivi.
In quegli anni viene altresì studiato ed attuato un servizio prima inesistente, non solo al Trivulzio ma in tutti i cronicari, di accettazione e smistamento dei malati nei diversi reparti, con caratteristiche peculiari rispetto agli altri servizi di accettazione degli ospedali tradizionali. Vengono realizzati i servizi di riabilitazione fisiatrica, di logopedia per il trattamento delle disfasie, di fisioterapia del circolo e del respiro (studi allora agli albori a livello mondiale). Viene creato un sistema di diagnostica e cura, con un complesso polispecialistico all’avanguardia, aperto anche a pazienti esterni (nel primo anno di attività, siamo nel 1966, vengono eseguite oltre 60.000 prestazioni, di cui 10.000 a pazienti esterni), e definito “gemma preziosa dell’Istituto”; viene creato il servizio di day hospital. A partire dal 1969 vengono avviati corsi interni di formazione per il personale di assistenza. Questi sono solo alcuni degli esempi di quanto è stato realizzato. Nel giro di pochi anni, grazie all’azione congiunta della direzione dell’Istituto e del servizio medico, il Pio Albergo Trivulzio diventa il modello di riferimento per la cura all’anziano. Vengono così messe le basi per disegnare altresì la riforma sanitaria nazionale per l’assistenza agli anziani. Il sistema Pio Albergo Trivulzio viene portato come modello in tutti i Convegni nazionali di Geriatria e Gerontologia e negli eventi dedicati alla Medicina sociale, confermandosi ancora una volta pioniere nella cura ed assistenza all’anziano, in un non facile contesto politico-sociale, come la tavola rotonda avrà modo di approfondire.
Credo che nella realtà odierna, il Trivulzio possa ancora svolgere un ruolo determinante per il futuro degli anziani, in una logica di “vecchiaia sostenibile”. Non dimentichiamoci che oggi le persone sopra i 65 anni sono il 22% della popolazione italiana e che le proiezioni demografiche prevedono che nei prossimi 30-50 anni, la popolazione sopra i 65 anni passerà al 33% di quella complessiva. Se ci focalizziamo sugli ultra 85enni, osserviamo che ad un’attuale incidenza del 3% circa della popolazione, le proiezioni danno valori del 10% nel 2050. A Milano nel 2002 gli ultracentenari erano 219, l’anno scorso ne sono stati censiti 611 (in quindici anni si sono triplicati).
Questi numeri devono farci pensare: il tasso di fecondità è in continua contrazione, l’indice di vecchiaia è in aumento, la durata media della vita e l’età media sono in continua espansione. Cosa succederà in un’economia in cui le risorse non sempre sono in grado di garantire i servizi essenziali? Occorrerà investire in prevenzione, in assistenza e cure mirate, favorire un sistema di anzianità attiva, coinvolgendo gli anziani ove possibile nella vita sociale, in un contesto in cui, non lo dimentichiamo, il fenomeno migratorio gioca e probabilmente continuerà a giocare un ruolo determinante.
Sono considerazioni che ci devono portare a riflettere, alle quali credo soprattutto che la nostra classe politica debba mettere mano, salvo non si voglia pensare a quanto scriveva l’economista Federico Caffè (come ha ricordato Marco Vitale in un suo scritto sul futuro degli anziani), parlando di una tribù africana che aveva il costume di accompagnare al fiume i vecchi: “ogni anno i più vecchi venivano guidati e spinti con l’aiuto di lunghe pertiche verso un vorticoso fiume, accompagnati da tutta la tribù, per poi essere spinti nel fiume e così sparire nella corrente”. L’economista Marco Vitale nel suo scritto sottolinea altresì come secondo Caffè “questo modo di fare era più gentile e umano del nostro, che fa di tutto per allungare la vita e troppo poco fa perché la vita allungata sia qualitativamente degna di essere vissuta, fino ad arrivare a considerare i vecchi solo un peso, spesso inutile”.
A temi di natura economica sul problema dell’invecchiamento della popolazione, con la sua crudezza, si affiancano considerazioni di carattere etico e deontologico, alla luce anche dei recenti provvedimenti legislativi in tema di “dopo di noi”, di “fine vita” e di biotestamento. A ciò si aggiunga la considerazione circa il delicato e complesso tema degli aspetti emotivi della vecchiaia, con il senso di solitudine e di inutilità che colpisce spesso le persone anziane, Nel 1967 mio padre si chiedeva, in un convegno su - Gli Anziani in una società in sviluppo - se “fosse più felice con tutti i suoi impegni la Santina, la donna fedele e di alti meriti, che condivide da oltre cinquant’anni gioie e dolori della mia casa e sta ora seguendo la nostra quarta generazione, o invece quel benestante signore di un paese nordico a piena sicurezza sociale che tutto solo e libero da ogni impegno trascorre le sue giornate ospite di una casa di riposo?”
Su questi aspetti siamo chiamati a riflettere: come Amici del Trivulzio, ci confrontiamo tutti i giorni con questi temi e credo ancora di più si trovino a doverli vivere ed affrontare tutti gli operatori del Pio Albergo Trivulzio, che sono convinto sempre più si troveranno ad essere nuovamente pionieri per il sistema di assistenza e cura degli anziani, nel futuro della nostra città.
Nell’organizzare il Convegno, ho potuto apprezzare quante siano le persone che riconoscono il Pio Albergo Trivulzio come un’istituzione fondamentale per Milano. Spero che il Convegno possa contribuire ulteriormente a far conoscere cosa è stato il Trivulzio, quale sia il ruolo che svolge e quali possano essere le future potenzialità. Su questo punto sarà il dott. Claudio Sileo, attuale direttore generale del Pio Albergo Trivulzio, a fornire a chiusura del Convegno un quadro complessivo su quanto il Trivulzio sta facendo e programmando per il prossimo futuro, perché possa rimanere un riferimento per Milano e per i suoi anziani.
Da ultimo, un’anticipazione che sicuramente aiuterà a far conoscere sempre più il Pio Albergo Trivulzio a Milano e ai suoi cittadini: grazie ad una mostra a cielo aperto in via Dante - in programma a partire dal prossimo mese di marzo - dedicata all’Istituto e alla sua storia, sono certo che Milano e i Milanesi sapranno essere sempre più Amici del Trivulzio.
Marco Zanobio- vicepresidente Amici del Trivulzio