26 Gennaio 2018 - Commenti disabilitati su Mamma a carico al Trivulzio

Mamma a carico al Trivulzio

Un film (“tra 5 minuti in scena”), un libro (“'Mamma a carico - Mia figlia ha novant'anni”, edito da Einaudi nel 2015, realizzato con il sostegno di Cisl e Cgil) e uno spettacolo teatrale. La storia del rapporto fra l’allora poco più che cinquantenne Gianna Coletti e sua madre Gianna in questi anni è diventato un piccolo caso letterario. La produzione letteraria e artistica sul fine vita infatti non è corposa, tutt’altro. Gianna Coletti domenica prossima, il 28 gennaio, presenterà il libro della sede del Pio Albergo Trivulzio a Milano con la presenza, fra gli altri, dell’associazione Amici del Trivulzio. Abbiamo avvicinato l’autrice in vista della presentazione.

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Gianna, partiamo dal significato di presentare il suo libro un contesto “non domestico” come quello del Trivulzio…
Quello fra me e mia mamma è stata una vicenda domestica e quindi non vissuta in un contesto come può essere quello del Trivulzio, ma il nodo della questione non è tanto l’ambiente in cui si vive questa esperienza, ma l’esperienza stessa. La questione è la non accettazione della malattia e di tutto ciò che cosa comporta, nel nostro caso la demenza di mia mamma, la sua cecità, la sua immobilità.

Qual è il “segreto” per venirne a capo?
Non lo so. Non ho una soluzione. Nei tre anni, dal 2010 al 2013, in cui hi condiviso con mia mamma questo viaggio la paura non se ne è mai andata. Prepararsi all’abbandono è difficile. Mio marito mi diceva: “Gianna, il problema sei tu, non tua mamma”. Credo che avesse ragione.

Nella tragicità del suo racconto però l’ironia non manca?
Perché fa parte del rapporto fra due persone. Poi io per carattere sono allergica all’eccesso di sentimentalismo. Ho voluto raccontare con trasparenza quello che abbiamo vissuto. Tenendo conto anche che nella nostra vita, il rapporto fra me e mia mamma è stato spesso conflittuale, in alcuni momenti, prima della sua malattia, mi sono anche augurata la sua morte. Poi qualcosa è cambiato.

Lei non dà consigli, ha l’esigenza di raccontare quello che ha vissuto con un film, un libro e a teatro è forte. Come si spiega?
Forse volevo rompere il tabù che circonda questo argomento. Volevo parlare della storia di una donna malata e di una figlia di una madre che se ne sta andando. Volevo condividere. Il mio racconto è esattamente lo specchio della necessità forte di uscire dal guscio in cui spesso si esauriscono queste vicende. Invece credo che conoscere storie simili e fare conoscere la propria sia di grandissimo aiuto sia per i malati, sia per le persone che stanno loro vicine.

Published by: Stefano Arduini in News

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